Relazione introduttiva 

On. Elisabetta Piccolotti


Onorevoli Colleghi –
Il presente Disegno di Legge (che si compone di 8 articoli) non vuole, in nessun modo, essere risolutiva dei tanti problemi e delle molteplici e complesse necessità del sistema della formazione e dell’istruzione.
Il testo che si propone detta le norme generali inerenti la scuola – ribaltando la logica che ha guidato, in almeno un ventennio, le politiche sull’istruzione – su alcune delle urgenze fondamentali della scuola e delle scuole italiane; aumentando consistentemente il “tempo scuola”; creando le condizioni per consentire ai docenti una didattica più attenta e vicina alle esigenze di formazione umana, culturale e civile; contribuendo a rimuovere, secondo il dettato costituzionale, alcune delle condizioni che limitano – in particolare in alcune aree del Paese – l’effettivo esercizio del diritto allo studio e alla formazione.
In particolare, ci muove l’allarme per i dati sulla dispersione scolastica che caratterizzano il nostro Paese.
Siamo fra i peggiori Paesi in Europa per “dispersi dalla scuola”, le percentuali sono preoccupanti, in alcune regioni (Sicilia) e, all’interno di queste, in alcune città (Catania) il nostro Paese perde una ragazza o un ragazzo ogni quattro. Significa che queste persone non saranno in grado di gestirsi un progetto di vita autonomo, soventi vittime del lavoro nero e sottopagato quando non intercettati dalla malavita organizzata, non in grado di partecipare appieno alla vita democratica del nostro Paese per la quale il bagaglio culturale è condizione di autonomia personale.
A pochi mesi dai cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani la sua denuncia sul fatto che la scuola “Cura i sani ed allontana i malati” ha bisogno di trovare una risposta del sistema pubblico, forte e determinata.
Il DDL è, dunque, incentrato su tre interventi specifici, ma con una valenza generale e coerente con la missione che la Costituzione assegna alla scuola pubblica: riduzione del numero di alunni per classe; estensione del tempo pieno e del tempo prolungato in tutti gli ordini di scuola; e previsione di interventi a favore degli Enti Locali che, per le condizioni del loro bilancio, non sono in grado di sostenere i servizi di mensa e di trasporto; creazione di “Zone di educazione prioritaria e solidale” (di seguito definite ZEP) nelle aree più disagiate del Paese.
-Il sistema dell’istruzione e della formazione è stato oggetto di un processo di snaturamento, rispetto alle finalità di liberazione ed emancipazione che la Costituzione gli assegna. Impoverito, precarizzato, burocratizzato e piegato alle logiche del mercato. Non si tratta di una questione settoriale, ma di uno snodo decisivo per il futuro delle giovani generazioni e della stessa democrazia; perché il modello di formazione è una pietra angolare del modello di società che si intende costruire, nelle relazioni sociali e intellettuali, nelle forme del lavoro e della vita, persino – visto l’impatto che, fin dall’infanzia, le tecnologie virtuali e digitali hanno sui processi di conoscenza e sull’universo emotivo – sul tipo di umanità che abiterà la Terra dai prossimi decenni.
Il testo che si propone prevede, com’è evidente dall’entità degli interventi, una decisa inversione di tendenza sul piano finanziario, nel bilancio dello Stato, con investimenti consistenti; di essi deve farsi carico la fiscalità generale del Paese, la quale, a sua volta, deve divenire realmente progressiva e giusta.

-L’art.1 pone con chiarezza il problema reale delle classi numerose, nelle quali è oggettivamente impossibile produrre una didattica realmente attenta alle difficoltà degli alunni più fragili; fragilità che, d’altra parte, sono sempre più diffuse, sia sul piano umano, che su quello cognitivo e dell’attenzione, anche per l’impatto sempre più potente e pervasivo delle tecnologie digitali. Da questo punto di vista occorre ribaltare il quadro legislativo precedente, che – prigioniero della logica di austerity – prevedeva numeri minimi, invece che numeri massimi di alunni nelle classi. Particolare passaggio nefasto per il sovraffollamento delle classi è derivato dall’applicazione dell’art. 64 del decreto legge n. 112 del 2008, a firma del Ministro Tremonti, convertito con legge n.133/2008, che ha incrementato di un punto, nel triennio 2009/2011, il rapporto alunni/docente per classe (dall’8,94 del 2008 al 9,94 del 2021) ; il Decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009 ha poi tradotto in legge le conseguenze del piano di razionalizzazione che l’art. 64 del decreto legge n. 112 del 2008 già prevedeva. L’applicazione di tale normativa ha avuto come effetto immediato la perdita di ben 86.931 posti da insegnanti e l’incremento inevitabile del numero degli studenti per classe, fino al raggiungimento degli attuali inaccettabili livelli; detti provvedimenti legislativi si intendono dunque superati e cancellati dalla presente PdL.
Le scuole secondarie di secondo grado possono oggi comporre classi di 30 studenti e arrivare a 33 in applicazione della norma che ne prevede un incremento del 10%; si continua, tra l’altro, a non tener conto di quanto previsto dal DPR 81/2009, e dalla normativa vigente sulla prevenzione degli incendi che stabilisce il rispetto di precisi parametri per consentire l’esodo in caso di emergenza. La riorganizzazione delle classi rende, ovviamente, indispensabile un corposo investimento – qualitativo e quantitativo – nell’edilizia scolastica. Ridurre il numero degli alunni in classe è, dunque, elemento decisivo sul quale intervenire, per garantire qualità della didattica, maggiore coinvolgimento e apprendimento da parte degli studenti, piena integrazione dei ragazzi/e con disabilità. Non si tratta, dunque, di accorgimenti (che pure, come abbiamo più volte sostenuto, sarebbero stati necessari) legati a questa o ad altre emergenze. Una relazione didattica e formativa davvero attenta ai processi di crescita, alle difficoltà e al complesso della vita di bambine e bambini e di adolescenti con problematiche crescenti e complesse, non è garantita solo da numeri più piccoli, ma è certamente da essi facilitata e incentivata, favorendo, così, interventi concreti e reali contro l’abbandono scolastico.
È gravemente indicativo, a questo proposito, che il precedente Presidente del Consiglio Mario Draghi, nel motivare il taglio all’istruzione (nell’ultimo DEF), abbia fatto riferimento al calo demografico; acquisendo come dato di fatto, puramente economico, l’impossibilità di tante coppie giovani a fare figli e ignorando del tutto la possibilità di ripensare, con numeri ridotti nelle classi, la qualità e l’inclusività della didattica.

-Per quanto concerne gli articoli 2 e 3, occorre ricordare che il tempo pieno (TP), fin dalla sua nascita nel lontano 1970, ha contribuito a far vivere il diritto all’istruzione come uno dei diritti fondamentali di cittadinanza: dall’enunciazione del principio dell’obbligo scolastico all’impegno per il successo formativo.
La scuola a tempo pieno ha avuto il compito di assolvere al ruolo di scuola della comunità, luogo pedagogico “totale” e si è presentata quindi non solo come modello organizzativo coeso e integrato ma anche come un’istituzione educativa innovativa, aperta a nuove modalità educative e, allo stesso tempo, attenta a garantire la qualità delle strutture, dei servizi, dei laboratori.
 Il messaggio pedagogico, dalla legge istitutiva del TP, è stato sempre chiaro: un rapporto più coraggioso con la comunità, con la cultura del territorio per mantenere una grande capacità di accoglienza, accettazione delle diversità ed identità e per proiettare, in un orizzonte più vasto, la forza della conoscenza e dell’istruzione. Fu la riforma Moratti ad allentare la necessità dei rientri, portando il tempo scuola a 30 ore settimanali e distinguendo tra curricolo obbligatorio di 27 ore e curricolo facoltativo di 3 ore. Successivamente, con la riforma Gelmini, il monte ore delle classi di scuola primaria a tempo normale si attestò definitivamente sulle 27 ore settimanali.
Anche per effetto dei forti tagli al personale docente e Ata – a seguito dell’abrogazione dell’art. 129 del T.U.297/94 (ex art. 7 legge 148/90), e della caduta dell’obbligo di ripartire le attività didattiche in orario antimeridiano e pomeridiano – molte scuole si sono trovate in notevole difficoltà nel gestire le attività a discapito degli stessi rientri pomeridiani.
Qualsiasi proposta di estensione e rilancio del tempo pieno, quale investimento sociale e strutturale nel lungo periodo, non può prescindere da un necessario ripensamento complessivo degli spazi dell’educare e la realizzazione progressiva di mense in tutti gli edifici scolastici. Va quindi prevista un’articolazione delle proposte didattiche in luoghi idonei: biblioteche e angoli di lettura, laboratori espressivi e creativi, palestre e spazi per il movimento e il teatro, aule da dedicare alla pittura, alla musica, ad attività creative multimediali.
La presente PdL prevede non solo l’estensione del TP nelle scuole primarie, ma anche del Tempo prolungato negli istituti di istruzione secondaria di I e II grado. Ciò perché è sempre più urgente un aumento reale del tempo-scuola, in quanto è sempre maggiore il bisogno di non lasciare soli bambini e adolescenti con le loro difficoltà, tanto di carattere sociale, quanto di natura formativa; si chiarisce, nel secondo comma dell’articolo 2, che la progettazione delle attività pomeridiane – per quanto possa avvalersi, in parte, di contributi esterni – deve comunque essere definita dai collegi dei docenti e dai consigli di classe, in armonia col progetto formativo della scuola e col contributo di tutte le sue componenti.
In sintesi, per aspirare all’uguaglianza delle opportunità formative, riteniamo, dunque, fondamentale per la scuola primaria il ripristino di quel tempo pieno che portò l’esperienza a livelli di eccellenza ammirati in tutta Europa: co-presenze e co-progettazione, attività innovative, continuità con la scuola di base3-6 anni. Si tratta, inoltre, di attivare l’estensione generalizzata del tempo scuola, per far fronte alle povertà educative, anche nella secondaria di primo grado, così come nella scuola secondaria di secondo grado; estendendo, tra l’altro, l’obbligo scolastico a 18 anni.

-L’articolo 3 ribadisce l’urgenza di garantire l’accesso all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia (fascia da 0 a 6 anni) a tutte le bambine e a tutti i bambini dell’intero territorio nazionale, superando ogni forma di discriminazione sociale e territoriale; in considerazione del fatto che il processo formativo, inteso nel suo senso più ampio, è fondamentale fin dai primissimi anni della crescita. D’altronde la precocità dei processi di decondizionamento culturale e di socializzazione sono fondamentali anche per combattere la dispersione scolastica. Contemporaneamente, ferma restando l’autonomia di scelta dei genitori, un’azione di promozione in tal senso degli Enti locali è fondamentale per il mancato accesso all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia spesso, in presenza di un’offerta sul territorio, è condizionata anche dalle condizioni socio-economiche e dai modelli culturali.

-Gli articoli 4, 5 e 6 si riferiscono all’istituzione delle “Zone d’educazione prioritaria e solidale”; un modello attivo in Francia da molti anni. In un contesto in cui solo il 19% degli studenti riesce a ottenere un titolo di studi superiore a quello dei propri genitori e in cui, in generale, il proprio ambiente d’origine pesa ancora come una sentenza inappellabile fin dalla nascita, ci sembra innanzitutto prioritario intervenire, in questa proposta di legge, con degli articoli ad hoc per contrastare la piaga della povertà educativa e dell’abbandono scolastico nelle periferie, nelle aree interne e montane e, in generale, nelle realtà più sofferenti. In molti territori o aree urbane, ma anche in alcune tipologie di scuola, i livelli di dispersione scolastica e di abbandono sono, infatti, di gran lunga superiori a quelli della media europea e del resto del Paese; ciò non fa altro che certificare le differenze territoriali e le diseguaglianze sociali; e il continuo richiamo al merito, in una simile situazione – in cui gli studenti partono da condizioni sociali profondamente diverse – si palesa come un inganno puramente ideologico.
A fronte di questa grave stortura, che contraddice palesemente il dettato costituzionale, il presente Progetto di Legge si propone di contrastare alla radice il sistema scolastico attuale profondamente selettivo; in quanto, ad oggi, di fatto, le maggiori risorse vengono indirizzate alle scuole meno problematiche. Infatti la maggior parte dei finanziamenti – attraverso i PON – vengono destinati alle scuole con organico più stabile e con una maggiore progettualità interna, in quanto in esse si deve far fronte a minori esigenze ed emergenze; in quanto in esse si deve far fronte a minori esigenze ed emergenze disattendendo anche precise previsioni contrattuali relative al Comparto Scuola e sottoscritte dall’Aran e da tutte le OO.SS rappresentative al riguardo.
Con il presente DDL si vuole invertire la rotta, ispirandosi al modello francese delle ZEP – le Zones d’Education Prioritarie – che, invece, dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha teso a contrastare le diseguaglianze scolastiche, attraverso dette Zone, rivolte, appunto, alle aree più svantaggiate; a cui vengono riconosciuti innanzitutto superiori contingenti di organico, quindi con la possibilità di avere un rapporto docenti-studenti decisamente inferiore (affiancati, tra l’altro, da figure professionali come quelle degli psicologi e da una progettualità di territorio fortemente partecipata) per sostenere la scuola, senza che essa perda il proprio ruolo di definizione delle strategie formative; di lavorare in co-presenza, garantendo così una maggiore professionalità per far fronte a situazioni di maggiore difficoltà relazionale e comportamentale.
Pur non essendo oggetto di intervento legislativo, ma proprio della contrattazione sindacale, auspichiamo, dunque, che a questi docenti vengano garantiti incentivi salariali (secondo quanto definito nelle previsioni contrattuali sopra ricordate) e corsi di formazione necessari, perché non è la stessa cosa insegnare in un Liceo o in un Istituto Professionale, in una zona socialmente agiata o urbanisticamente qualificata oppure in un contesto di diffuse difficoltà sociali, urbanistiche, territoriali. In aperta controtendenza con l’indirizzo a valorizzare e finanziare le scuole che abbiano conseguito risultati brillanti nei test standardizzati, crediamo che proprio le realtà scolastiche che mostrano più sofferenza debbano essere destinatarie di finanziamenti mirati, di progettualità forti, partecipate e innovative, di un aumento dell’organico rispetto agli studenti. A differenza dell’articolo 2 (relativo al resto del Paese), nel I comma dell’articolo 5 si precisa che, in dette ZEP, il rapporto alunni-docenti per ogni classe non superi per legge i 15 studenti. Le classi e le aule sovraffollate, con oltre venti studenti per classe, sono, infatti, contesti che ostacolano i processi di apprendimento; perché le specificità di ogni studente e di ogni studentessa emergano, vengano intercettate e diano luogo a didattiche efficaci, riteniamo quindi essenziale – a maggior ragione in zone già di per sé difficili e svantaggiate. La PdL che presentiamo, dunque, ha come obiettivo fondamentale quello di dare vita ad un piano d’intervento straordinario che, con risorse altrettanto straordinarie, intende rivolgersi a tutto il Paese, ma anche alle sue zone più disagiate – a cominciare dal Sud, dalle Isole e dalle aree interne e montane – agli Istituti Tecnici e Professionali, nonché alle periferie abbandonate delle grandi città, dove la povertà economica si somma alla povertà educativa intesa anche come mancanza di opportunità culturali, ludiche e sportive.
In questa direzione va ripresa e rilanciata la progettualità territoriale che, a partire dalla centralità della scuola, intende coinvolgere e sostenere gli Enti locali proprio nella direzione di fornire risorse a quei territori e a quei cittadini che vivono nel degrado sociale e culturale, senza possibilità (anche al di fuori del contesto scolastico) di avere spazi di socialità dove poter fare cultura, musica o sport.
-Gli articoli 7 e 8 affermano rispettivamente: l’estensione dell’obbligo scolastico fino al diciottesimo anno d’età e la completa gratuità dell’accesso alla formazione scolastica pubblica, dal nido fino al completamento del ciclo scolastico della secondaria di II grado. L’articolo 7, in particolare, è finalizzato ad elevare progressivamente l’obbligo scolastico a 18 anni; elevare l’età di accesso al lavoro; mettere ordine nella normativa relativa a obbligo scolastico, obbligo di istruzione, diritto-dovere, ecc.
L’elevamento dell’obbligo scolastico rientra pienamente nel dettato costituzionale, che obbliga lo Stato ad attivare interventi finalizzati a consentire a tutti i cittadini il raggiungimento dei gradi più alti degli studi. L’emendamento è coerente con gli obiettivi dell’Unione Europea finalizzati a ridurre il tasso di abbandono scolastico e ad elevare significativamente il numero dei giovani in possesso di laurea.
L’illustrazione del contenuto e l’articolato ricalcano le intenzioni di facilitare il contrasto alla povertà educativa e l’abbandono scolastico.